La felicità è uno stato emozionale condizionato al raggiungimento di un obiettivo, un desiderio realizzato, un risultato atteso. Dipende dalle proiezioni personali. Per questo la felicità è sempre fugace: è vincolata ad aspettative, desideri e obiettivi sempre nuovi.
La pienezza è una condizione spirituale di ordine e armonia interiori: la si sperimenta anche quando dovesse essere presente una situazione di infermità fisica o psicologica, in occasione di una perdita affettiva o in circostanze di privazione e mancanza. Dipende dal vissuto interiore e dalla natura spirituale dell’essere umano. Per questo il senso di pienezza è così evanescente: non è un’emozione, ma uno stato esistenziale.
Domandando cosa sia la felicità, ogni risposta sarà diversa secondo il vissuto umano di ciascuno. Domandando cosa sia la pienezza di vita, tutte le risposte si riferiranno a una condizione comune di pace e armonia che prescinde dagli stimoli esterni.
Molti di noi vivono come criceti assorti senza sosta nella ricerca della felicità. Dentro di sé covano però la consapevolezza che una vita felice sia un’utopia in questo mondo ed è vero, perché lo stato di appagamento continuo dei sensi detto “beatitudine” appartiene a un altro ordine della realtà [1Cor2,9].
Pace e armonia sono l’effetto di una cura continua della vita interiore che mette ordine dentro di sé. Ansia e confusione indicano invece un disordine interiore:
Sguardo in fissa
La mancanza di vita spirituale fa calare uno specchio davanti al mio sguardo in modo lento e inesorabile finché resto incastrato, “fissato” su me stesso. Uno sguardo puntato sul Crocifisso [Gv19,37] si nutre di una visione di amore donato, pienezza di vita, ricchezza di beni eterni. Quando cala lo specchio rimango fisso su me stesso e sulle mie povertà, mancanze, infermità, privazioni. Il punto nero nel foglio bianco.
Liberare lo sguardo, imparare a vedere nel discernimento di ciò che è un vero bene per me, non è come il “pensiero felice” di Peter Pan per volare nell’isola che non c’è. Serve per la purificazione del desiderio, imparare a stare nel mondo e nella propria esistenza guidato da un navigatore esperto, disattivare il pilota automatico. Puntando lo sguardo su quanto trascende la realtà in cui siamo immersi fa sì che il criceto si fermi, esca dalla ruota e si metta in cammino senza più correre, verso la terra promessa.
Loop emozionale
La memoria è selettiva, presenta continuamente alla mente le cose da fare secondo gli impegni del quotidiano, assortite in modo più o meno consapevole con le immagini e i sentimenti derivanti dalle affezioni del cuore. Con lo sguardo in fissa su se stessi, anche le emozioni rimangono incastrate, irretite nell’ego ferito dall”immagine rotta di sé, che attiva tensioni latenti e scatena le passioni a danno proprio e degli altri.
Ripulire il cuore, imparare a sentire fermando la palla di neve che diventa valanga se ci mettiamo a ragionare su quello che sentiamo. Il trucco, quando parte l’embolo e per non montare in ansia se non in collera, è distrarre l’attenzione in concrete attività manuali. Moderato il sentire alla luce del sole della ragione e del senso comune, si potrà rientrare in se stessi e fare discernimento: “separare per distinguere” fra i problemi e le circostanze, le persone e le relazioni, i valori assoluti e le priorità personali.
Rigurgiti dell’anima
Lo sguardo in fissa ti incastra in un’idea, un’immagine, una visione di perdita, povertà, mancanza. Il loop emozionale ti irretisce in un vortice interiore di ansia e confusione. Se non distrai l’attenzione e non fermi la palla di neve che rotola via, il disordine interiore si aggrava in una matassa di nodi che legano problemi concreti ed emozioni malsane con ferite antiche e nuovi risentimenti, aspettative deluse e inganni, tradimenti, abbandoni.
Così succede a chi vive nel passato, tornando a nutrirsi di quanto è già stato digerito ma non espulso e imputridito infetta l’organismo: rigurgiti dell’anima. Si tratterà comunque di fantasmi anche per chi vive nel futuro, nutrendosi di immagini ideali di sé, di favole e artefatti culturali dell’immaginazione che se la racconta deformando la realtà.
Mettere in ordine il vissuto personale, imparare a scegliere la propria vita assumendo la propria instabilità, insufficienza e inconsistenza come la più intima realtà di fatto. Provandoci, arriva prima o poi il momento in cui riconosciamo che abbiamo bisogno di un Dio e ci ri/volgiamo a lui, separandoci dalle compensazioni con cui ci narcotizziamo. Si tratta di fare la verità su di sé e camminare in essa. Così è di chi si nutre del presente vissuto come dono, di chi si alimenta del pane quotidiano occupandosi delle cose del Padre suo [Lc2,49].
La vita in pienezza è una montagna da scalare per riconquistare se stessi e smettere di pre/occuparsi di rendere la propria esistenza funzionale alle storie che ci raccontiamo vivendo con affanno e agitazione [Lc10,41-42]. Occuparsi, non preoccuparsi, scegliere la parte migliore che non è ricerca della felicità per esperienze di appagamento fine a se stesse ma custodia del cuore in ordine e armonia per la crescita interiore.
Scalare la montagna è difficile, ma c’è il sentiero.