Due ali per il cielo – Atto I

La vita spirituale è come una montagna da scalare: “difficile” perché bisogna camminare in su, che costa fatica, ma “semplice” perché c’è il sentiero, non è una cosa complicata.

Il sentiero per il cielo è come un binario con due rotaie di acciaio, le due ali di ogni anima spirituale mossa dal desiderio di ascendere alle vette della santificazione. Questo sentiero è uno solo, non ce ne sono altri, è stato tracciato una volta per tutte e non potrà mai essere cancellato. Il sentiero è il Vangelo, la Parola di Dio incarnata, la via che passando dalla croce conduce al trono dell’Altissimo.

Il sentiero percorso, il Vangelo vissuto, la fede in atto ha due forme di esprimersi per crescere, per misurarsi con se stessa davanti a Dio, per compiersi in pienezza. Queste due forme di vita cristiana sono complementari e interdipendenti: una forma attiva e una passiva. C’è chi pratica la prima ma fa fatica a inoltrarsi nella seconda. E c’è chi si trova immerso nella seconda a causa di forza maggiore e non può inoltrarsi nella prima, che però non gli manca, perché la forma passiva è quella più alta, che in qualche modo fa propria e incarna anche la prima.

La forma attiva

La via più immediata per la santificazione dell’anima, che ottiene l’assimilazione della vita divina come dono dello Spirito, è la preghiera.

Al primo stadio comincia l’allenamento per vagliare il desiderio interiore: è quello di chi, armato di secchio, esce di casa per andare al pozzo. Il secchio è il tempo che dedichiamo a uscire da noi stessi per metterci al cospetto di Dio: lo sforzo di andare al pozzo, calare e tirar su il secchio perdendo acqua a ogni strattone finché ci è dato di bere. È “preghiera” questa fatica come quella di Giacobbe che lottò tutta la notte con l’angelo che alla fine lo benedisse [Gn32,25-30]. Il ristoro interiore al sorso di acqua viva non è preghiera ma il suo frutto: consolazione interiore che può durare anche pochi secondi o minuti in un’ora di preghiera, contatto con il divino che riempie l’anima, la benedizione di Giacobbe.

Per passare al secondo stadio e inoltrarsi nel sentiero della vita spirituale è necessario un piccolo investimento. Si tratta di installare la pompa, limitando alla leva lo sforzo umano per l’estrazione di acqua viva che potrà essere raccolta in quantità maggiore ma sempre nella misura della capacità di contenimento dell’abbeveratoio. La pompa è una struttura semplice di vita cristiana data da stabilità e costanza nell’assistenza ai sacramenti, nel tempo dedicato alla preghiera e in un concreto servizio per il prossimo.

Andare oltre il secondo stadio per scalare la vetta implica un maggiore investimento. Si tratta di costruire un mulino, fisso sulla riva di un torrente di acqua viva che è lo Spirito di Dio proveniente dalla sorgente del Sacro Cuore di Gesù. Al mulino sono collegati i canali che distribuiscono l’acqua per alimentare tutto il giardino dell’anima, nutrendo fiori e piante dove viene a trovare ristoro ogni genere di essere vivente. I canali sono le virtù teologali, fiori e piante le virtù umane e morali, l’investimento non è altro che il lavoro di ascesi che operiamo in noi stessi nella nostra configurazione a Cristo, nel cambiare con profonda umiltà il nostro modo di essere per imparare a pensare, a sentire e ad agire al modo di un uomo diverso da noi, al modo di un altro, al modo di Dio.

Per scalare la vetta vanno estirpate le radici maligne del “purtroppo sono fatto così”, del “si è sempre fatto così” o “dopo tutto è umano fare così”: legittimazioni di una umanità ferita che si giustifica da sola fomentando l’orgoglio di sé. La paziente opera di raccolta e distribuzione del mulino attraverso i canali dispone a una umanità redenta la vita cristiana. Comporta il mordersi la lingua e fare silenzio se la radice infetta è il parlar male o la presunzione spirituale del fariseismo e l’alterigia. Implica scegliere in modo definitivo di rifiutare il peccato veniale nella propria vita, quello di chi si perdona da sé esponendo la propria anima al peccato del vizio capitale e al rischio della superbia di vita spirituale nella rovina di sé. Si tratta di vivere secondo un progetto di riforma di vita spirituale che fa crescere i doni di Dio nella vita dell’anima effondendo tutto intorno il profumo di Cristo nel giardino della Chiesa.

L’ultimo stadio con cui Teresa d’Avila ci spiega la preghiera è come una porta tra questa forma attiva di vita spirituale e quella passiva che le è complementare. Questa quarta tappa è molto simile alla contemplazione dell’orizzonte dalla vetta della montagna. Non comporta più alcun investimento oltre alla semplice disposizione dell’anima che ha fatto proprie le intenzioni e i sentimenti interiori delle tappe precedenti. In questo stadio non fai nulla, rimani lì quando ti ci ritrovi per una improvvisa e inaspettata grazia di Dio: è l’acquazzone, una quantità incontenibile di acqua viva che discende dal cielo in modo gratuito, assolutamente indipendente dall’agire umano. La Chiesa le conosce come effusioni dello Spirito Santo concesse a chiunque, che sia cristiano e battezzato o meno, che sia o meno in grazia di Dio, libero o prigioniero, caduto o redento. Può capitare anche all’inizio o in cammino inoltrato, non è un premio ma una conferma, un aiuto, una spinta ad andare avanti nel desiderio di raggiungere la vetta. Dopo questa esperienza non è più possibile alla ragione umana ignorare la realtà della presenza e azione di Dio, si viene inondati da una profonda sensazione di essere conosciuti e teneramente amati, e amati perché intimamente conosciuti. E perdonati. Quando capita, è bene lasciar fare e non trattenere le lacrime: sono il segno dello Spirito che lava l’anima e la nutre di sé portando a compimento processi interiori di liberazione e guarigione noti solo a Dio.

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