La via del perdono

Il perdono non è un atto umano. L’esperienza ce lo dimostra: perdonare spesso è molto difficile. Più è grande la ferita inferta, sia un’offesa o un abuso, la perdita di qualcosa o di qualcuno di caro, qualsiasi forma di ingiustizia subita, più è difficile perdonare.

Nella dinamiche della vita spirituale, il perdono rientra nella categoria della liberazione. Siamo stati liberati dalla morte eterna per un atto di perdono di Dio, siamo liberati dal rancore per la guarigione di una ferita nel cuore, siamo liberati da pensieri ossessivi e sentimenti laceranti per un’esperienza di grazia che ci guida nel perdono.

Inizia tutto con un atto esterno. Può esserne stato causa un fratello, un amico, la società, noi stessi per un atto di egoismo che ci si ritorce contro. Quello che succede spesso è che dopo torni a sentire il dolore: ci ripensi, ritorni con la mente a quel momento, quella ferita, quella perdita. Così nasce il risentimento: quello che prima era esterno, ora è interno. Il risentimento è nella mente: torniamo a sentire il dolore e rimaniamo incastrati in una sofferenza che non dipende già più da un atto esterno ma interno. Solo noi stessi possiamo rispondere di quanto avviene nella nostra interiorità.

Se non ci adoperiamo per neutralizzare il risentimento, dalla mente discende nel cuore e si cristallizza, sedimentandosi nell’animo umano e generando il rancore. E tutto si fa più difficile: il rancore è come un sasso, una pietra che pesa nel cuore producendo forme di sofferenza anche più debilitanti della ferita iniziale. Può condizionare relazioni che non avevano nulla a che fare con la prima causa del dolore, influenzare decisioni e scelte di vita, logorare affetti. Il rancore è nel cuore come una prigione per l’anima.

Se non ci disponiamo a rimuovere il rancore, la tensione interiore tende a emergere, viene fuori in atti esterni. Sono tentativi di espulsione del dolore da parte del cuore affranto, incollerito dall’ira o dal vizio capitale dominante: forme di dipendenza generati dalla gola spirituale, affetti disordinati per la lussuria, atti ingiusti verso terzi generati dall’invidia o contro le cose sacre come la dignità e la libertà degli altri a causa della superbia. In genere, sono forme, atti di disprezzo: una colpa personale in cui finisce per cadere la persona ferita che da vittima si fa carnefice.

La via della guarigione interiore è tracciata nella via stretta del Vangelo. Sappiamo che è difficile ma è semplice, non è complicata: c’è il sentiero, tracciato una volta per tutte dal Figlio di Dio incarnato nella storia e vivente nello Spirito che ci guida ogni giorno.

Il perdono è un atto divino. Quando un sacerdote riceve in confessionale un assassino, un mafioso, un pedofilo, il suo cuore umano è troppo piccolo per essere capace di un atto così grande come il perdono di colpe tanto gravi. Se ci riesce, se può farlo, è solo perché il confessore è chiamato a perdonare con il cuore di Dio, unito al suo. Il Sacro Cuore di Gesù è un abisso di misericordia, il pozzo senza fondo delle nostre colpe personali e collettive, delle ingiustizie umane e sociali. Il perdono è gratuito, per dono: un atto gratuito della misericordia di Dio che una volta accolta nel cuore umano genera grazia, libera e sana.

La via del perdono è una dinamica spirituale, quindi non solo un processo soggettivo della coscienza morale. Bisogna invertire il processo insidioso, maligno, che ha preso piede nell’animo umano dal punto in cui viene scoperto nel discernimento spirituale, avviare il processo inverso: se dalla ferita nel cuore sono germinati risentimento, rancore e disprezzo, allora bisogna partire dalla fine.

Il primo atto è interno, e si realizza nel confessionale. Si tratta di chiedere perdono a Dio per avere accolto il rancore e avere commesso una ingiustizia contro di lui rompendo il comandamento dell’amore e la regola aurea: amare il prossimo come se stessi, amare i nemici, non fare agli altri quello che non vogliamo fatto a noi. La contrizione ci abilita all’assoluzione sacramentale che è un vero esorcismo. Il sacramento spacca la pietra del rancore e libera l’anima per fare il bene.

Il secondo atto è sempre interno: risalire dal cuore alla mente per liberarla dal pensiero cattivo che ha generato il risentimento. La prima liberazione è stata operata da Dio nel sacramento, questa è operata da Dio nella preghiera. Si tratta di maturare, con l’esercizio, il desiderio di pregare per le persone che ci hanno ferito o per la società, se si è trattato di una ingiustizia collettiva. O, ancora, pregare Dio se in cuor nostro la collera era rivolta verso di lui, apparente primo colpevole di tutto ciò che nella vita rifiutiamo e che non riusciamo a comprendere. La preghiera è attiva, concreta, rivolta al bene oggettivo degli altri, in senso pratico, non ideale o buonista. È una preghiera insistente, profonda: coltiva l’amore nel cuore e converte lo sguardo verso chi ci ha offeso. Ora, la coscienza razionale non può ammettere, senza una patologica scissione in se stessa, di maturare il desiderio del bene di un altro e allo stesso tempo volerne il male. Con il tempo, l’amore si fa spazio nel cuore generando i frutti dello Spirito Santo. Pace e gioia tornano a prendere spazio nell’animo umano e sentiamo che Dio ci ha concesso la grazia consentendoci di compiere per mezzo suo un atto divino, oltre le nostre umane capacità. Il perdono è un atto divino della persona umana: in coscienza possiamo marcare un prima e un dopo. Sappiamo di avere davvero perdonato, ci sentiamo liberi e pronti per l’ultimo passo.

L’atto divino trova pieno compimento e porta frutto nella carità. L’ultimo passo è un atto esterno che dà gloria a Dio. Animati dalla gioia nel cuore, liberi di amare per la forza della preghiera che ci nutre, bisogna predisporsi all’incontro con uno sguardo di riconciliazione verso chi ci ha ferito, ristabilire la comunione. Non si tratta di dire a qualcuno che lo abbiamo perdonato, sarebbe orgoglio, né di continuare a lasciarci ferire, sarebbe pietismo, un falso buonismo. Si tratta di lasciare intendere che non rimane rancore, che siamo disposti alla comunione se ricambiata nella verità. A volte chi ha fatto il male rifiuta le buone disposizioni di chi lo ha subito: è il mistero del peccato. Lo sguardo benevolo generato dall’azione di Dio in noi può realizzare miracoli operando la liberazione e la guarigione degli altri: la grazia si diffonde nelle anime di coloro che sono beati quando animati dalla grazia sanno essere operatori di pace.