Lo sguardo rubato

Il discernimento degli spiriti è un’arte, un dono o carisma, e anche una scienza. Una scienza, perché è caratterizzato da dinamiche osservabili e ripetibili; un carisma perché nella sua perfezione è l’esercizio eminente di un dono dello Spirito, il consiglio, che dà la capacità di penetrare la realtà cogliendone i significati più profondi; un’arte, perché può essere espressione dell’interiorità e dell’animo umano abitato dalla Verità.

Il fondamento del buon discernimento è la libertà di spirito: essere svincolati da ogni forma di attaccamento o pregiudizio, che con le loro proiezioni impongono un filtro alla coscienza, condizionando lo sguardo sulla realtà delle cose. Ancora più in profondità, è la purezza di cuore, d’intenzione, di coscienza. Lo sguardo libero, lo sguardo puro, consente di vedere la realtà così come la vede Dio stesso.

L’esercizio del discernimento può essere puntuale, applicato a una situazione specifica per cui va presa una decisione. Si tratta di imparare a vedere, sentire, scegliere. Vedere la realtà com’è, raccogliere i dati ed esaminare la situazione in modo oggettivo con un certo distacco. Una volta raccolti tutti i dati, accorgersi dei movimenti interiori in relazione con la situazione di fatto, le disposizioni personali, l’affetto dominante. Infine, scegliere il bene maggiore. L’esercizio può essere anche un’attitudine abituale dello spirito umano che esamina se stesso per rimanere nella volontà di Dio, stare nelle cose del Padre (Lc2,49): un bene maggiore scelto come la paternità, il matrimonio, la fede, la vita consacrata. In questo esercizio abituale, la chiave del discernimento è appunto lo sguardo. Se il mio sguardo è libero e puro, vedo la realtà com’è e sperimento pace, gioia, umiltà, anche in contesti di prova, lotta e sofferenza, nella misura della maturità spirituale con cui abbraccio il presente così come mi si presenta, nella prospettiva del Regno di Dio. In un certo senso, è lo stato di vita ordinario delle persone di fede.

Tutt’a un tratto accade qualcosa. Fatti esterni, commenti altrui, pensieri o sentimenti spontanei, improvvisi, mi trascinano in uno stato interiore di confusione, a volte con rabbia, desolazione, tristezza. Può capitare quella voce interiore che mi ripete: “vedi? vedi? è colpa tua se succede questo” oppure “vedi? vedi? come ti puoi fidare?” o ancora “vedi? vedi? non ce la puoi fare! meglio, lascia stare, chi te lo fa fare?“. Suggerimenti, suggestioni, spesso delle mezze verità che sono sempre intere menzogne. Le cause possono essere due: da una parte è quel censore interiore dentro di noi, il super-io come giudice implacabile che mi fissa lo sguardo su un modello di perfezione di me stesso che non esiste. L’orgoglio ferito davanti al mio limite diventa accusa del subcosciente contro lo spirito buono che quel limite me lo fa abbracciare con umiltà nella verità. Da un’altra parte, è l’insorgenza di un cattivo spirito, esterno al mio volere e sentire, una realtà personale diversa da me che mi si accosta lentamente e mi ruba lo sguardo.

La dinamica dello sguardo rubato è uno specchio che cala insidioso davanti al mio sguardo fisso sul Bene, il Vero, il Bello. Vivendo sotto lo sguardo del Padre, non ci sentiremo mai giudicati, ma motivati alla migliore versione di noi stessi, accolti nei nostri limiti, perdonati nelle mancanze, guidati in un orizzonte di eternità. Lo specchio mi attrae lo sguardo che va in fissa, bloccato su un problema, un sentimento: mi trovo concentrato su me stesso e sulle mie mancanze per una colpa presunta, che sia mia o altrui. Si forma tristezza, monta la rabbia, perdo la pace. Dopo un certo tempo me ne accorgo, rientrando in me stesso riprendo coscienza dei miei moti interiori e riesco a discernere il cattivo spirito che si è insidiato dallo spirito buono in cui abitavo.

L’errore di Eva non è stato solo mordere la mela, ma dialogare con il serpente (Gen3,1-2), dargli spazio, cadendo nella rete della suggestione maligna: tante mezze verità usate per farle perdere prima la fiducia in Dio, poi la comunione e quindi la libertà.

Quando sperimento inquietudine, rabbia, desolazione, devo riprendere possesso del mio sguardo interiore, accorgermi che al centro di ciò che sperimento ci sono io, per spostare via lo specchio che riflette un’immagine distorta di me stesso, parziale, filtrata dal senso di colpa, dall’accusa del censore interiore o del cattivo spirito che mi stanno insidiando. Lo sguardo deve tornare a fissarsi sulla contemplazione della Bellezza, della Verità che incarna ogni pienezza e libera il cuore, tornare a concentrarsi sul volto del Cristo (Zac 12,10 – Gv 19,34). L’accortezza è circospezione interiore: vigilare sui movimenti dello spirito umano che da uno stato di pace e di gioia interiori può trovarsi irretito in agitazione e smarrimento.

Inchiodato alla croce di Cristo contempliamo il nostro peccato fuori da noi stessi, tolto via: viene meno la colpa, dissolta nella divina misericordia che prende su di sé il peccato del mondo, colui che è Crocifisso se ne fa carico liberandocene in modo definitivo, ogni volta, nella riconciliazione.

Lo sguardo smarrito è la coscienza persa in cose vane e fuorvianti. Lo sguardo rubato è l’animo umano irretito nella sfiducia, nella rabbia, nell’autocommiserazione. Lo sguardo interiore ha bisogno di cura e vigilanza, nella preghiera e nell’accortezza: si purifica con la pratica della Parola fatta vita nella quotidianità e dalla ricerca del Bene, del Bello e del Vero nel mondo tutto intorno, negli altri che ci sono prossimi e in noi stessi che ci riceviamo come dono di Dio, abbracciando il nostro presente, riconciliati con la nostra storia e ben disposti, orientati, in un’orizzonte di eternità.